Qualche settimana fa ho acquistato una bellissima felce Pteris straminea in un garden. L’ho posizionata in un punto non troppo luminoso soverchiata da una lampada LED da 1400 lumen per allungare l’apporto di luce la sera. Dopo una decina di giorni ho notato che le fronde iniziavano a pendere. Essendo una felce la bagnavo spesso ma quando mi capitava di tardare le fronde iniziavano ad emanare un forte odore acre e speziato un po’ fastidioso. La pianta ovviamente non stava bene. La felce era in piena fase di acclimatiazione che dura in genere da 4 a 8 settimane in cui la pianta adegua il suo metabolismo alle nuove condizioni ambientali. Per agevolare l’acclimatazione ho pensato di ridurre lo stress idrico: ho inserito 3 irrigatori a cuneo (il contenitore ha diametro di 25 cm) collegati con tubicino ad un vaso porta acqua. Ho sollevato a regola d’arte il contenitore in modo da aggiustare il flusso di acqua negli irrigatori. Una settimana dopo questo intervento ho notato che la felce aveva smesso di emettere l’odore acre ma le fronde erano ancora abbastanza basse anche se non proprio pendenti. Allora ho rivolto la mia attenzione alla lampada: essendo una felce, notoriamente sciafila, ho ipotizzato che la causa potesse essere la luce troppo forte. Ho sostituito la lampada LED con un’altra da 650 lumen. Ora dopo altre due settimane posso dire che la felce sta bene. Le fronde si sono erette, nuove fronde stanno crescendo e la pianta appare più bella. Un altro accorgimento che uso per piante non abituate all’acqua fortemente calcarea di Milano è aggiungere uno spruzzetto di aceto da buon mercato ogni volta che riempio il vaso da dove gli irrigatori pescano l’acqua. AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non releghiamo le piante nei parchi ma portiamole dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo.
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Nel 1989 la NASA condusse una serie di studi per trovare sistemi che pulissero l’aria nelle stazioni spaziali. Scoprirono che diverse piante subtropicali che abbiamo in casa, oltre ad assorbire anidride carbonica e produrre ossigeno come tutte le piante fanno, riescono anche a filtrare alcune molecole tossiche per l’uomo quali formaldeide, benzene e tricloroetilene emessi da detergenti, vernici, pavimenti, cosmetica, colle e molti altri materiali di uso comune presenti nei nostri ambienti chiusi, Alcune specie hanno una capacità filtrante più potente di altre. Queste sono, ad esempio, Hedera, Epipremnum, Spathiphyllum, Anthurium, Aglaonema, Chamaedorea, Sansevieria, Dracaena. Da allora molti studi furono effettuati confermando questa capacità non solo per filtrare molecole tossiche ma anche per abbattere polveri, batteri e virus in sospensione. In particolare è sinergica l’associazione tra la pianta e il terreno in cui cresce: la pianta purifica di giorno, i batteri del terreno purificano la notte. In 4 ore una sola pianta riesce ad eliminare l’80% della formaldeide presente in un ambiente di 10 mq. Tuttavia, per fare ciò la pianta deve avere luce sufficiente per fotosintetizzare, deve essere in salute e le foglie devono essere pulite in modo che gli stomi non siano ostruiti. Il meccanismo di purificazione si basa sul passaggio nella pianta delle molecole inquinanti durante la fase di apertura degli stomi per lo scambio gassoso necessario alla fotosintesi. Le molecole così penetrano nei tessuti delle foglie e seguono vari percorsi: in parte sono degradate in molecole inerti dai processi enzimatici del citoplasma, in parte sono accumulate nei vacuoli delle cellule destinate ad essere poi allontanate con la caduta delle foglie e in parte vengono trasportate con la linfa elaborata (floema) alle radici dove sono escrete e neutralizzate dai microrganismi del terreno. In aggiunta, anche i batteri del terreno stesso, presenti in massa per garantire la fertilità, esercitano una forte attività degradante di tali molecole inquinanti nel momento in cui penetrano con l'aria nelle microcavità del terreno dove vengono sequestrate e metabolizzate in composti inerti. Visto che l’aria delle nostre case e uffici è per il 90% dei casi più inquinata da composti organici volatili rispetto all'aperto, tenere piante in casa è un contributo alla nostra salute. Quante piante bisognerebbe tenere all'interno per avere un serio effetto purificatore dell'aria? Minimo 3 piante ogni 10 mq abitabili. Ecco perché dobbiamo tenere piante ovunque soggiorniamo. AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non releghiamo le piante nei parchi ma portiamole dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. Quando la luminosità è sufficiente le piante attivano il processo di fotosintesi che assorbe l'anidride carbonica emessa da noi tramite il nostro fiato e libera l'ossigeno il quale invece serve a noi per respirare. Al contrario di notte o in condizioni di luce insufficiente le piante innescano un processo opposto per sopravvivere, respirano come noi, ovvero assorbono ossigeno ed rilasciano anidride carbonica (vedasi altri posti in questo blog che trattano questo argomento). Allora è meglio non avere piante la sera in camera da letto perché ci asfissiano con l'emissione di anidride carbonica? Pensate ad un bosco di notte quando tutti gli alberi respirano emettendo anidride carbonica. Dormire nel bosco fa asfissiare gli animali? No di certo! Allora perché si dice di non tenere piante in camera da letto? Perché è una bufala, una leggenda metropolitana. Innanzitutto è parzialmente vero che le piante producono anidride carbonica la notte. Le piante hanno diversi tipi di metabolismo: C3, C4 e CAM. Mentre è vero che le piante C3 rilasciano anidride carbonica di notte, le piante a metabolismo CAM e C4 invece la assorbono di notte. Esempi di piante ornamentali che assorbono anidride carbonica la notte e che sarebbe bene avere in camera sono Sansevieria, Clusia, le Bromeliacee e in genere tutte le piante grasse. In secondo luogo vanno valutate le quantità in gioco: in linea di massima il respiro di una persona che dorme in camera equivale a circa 4-5 piante di altezza d'uomo. In aggiunta, tenere piante in camera da letto ha altri effetti positivi: le piante mantengono uniforme l’umidità dell’aria per un sano riposo e purificano da polveri, virus, batteri in sospensione e da molecole organiche volatili dannose. AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non releghiamo le piante nei parchi ma portiamole dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. Quando compriamo piante dal garden e le portiamo in casa vediamo che rimangono tal quali per molto tempo e poi spesso succede che lentamente muoiono. La ragione è spesso legata alla bassa luminosità. Uno dei problemi più rilevanti da risolvere quando si vuole tenere piante in case è la disponibilità di luce. Le piante si alimentano di radiazione luminosa che serve loro per fotosintetizzare la molecola di glucosio a partire da sei molecole di acqua e sei di anidride carbonica cedendo come scarto l’ossigeno. Il glucosio è il mattone base dal quale la pianta produce i metaboliti, i tessuti e le strutture cellulari che le servono per vegetare. La fotosintesi è un processo di costruzione di tessuti. In aggiunta, le piante, come tutti gli organismi viventi, traggono l’energia per fare funzionare il loro metabolismo da un meccanismo basale opposto alla fotosintesi, la respirazione. E’ la stessa respirazione che hanno anche gli animali e l’uomo: la molecola di glucosio viene scissa in anidride carbonica consumando ossigeno e producendo energia. La respirazione è un processo di demolizione di tessuti. In condizioni di luce abbondante la fotosintesi sovrasta la respirazione e la pianta accumula tessuti e cresce. In condizioni di poca luce invece la fotosintesi si ferma e la respirazione domina prelevando glucosio dalle riserve della pianta (amidi) fino ad esaurimento e morte dell’organismo. Ogni pianta ha un proprio punto di break even, cioè una quantità di luce tale per cui la produzione della fotosintesi equivale al consumo della respirazione: il punto di compensazione. In questo punto di luminosità la pianta non muore e non cresce, ma sopravvive a stenti, non cresce perché la luminosità presente non consente di produrre nuove foglie e la pianta tira in avanti. Se poi la luminosità scende ancora la pianta inizia a consumare le proprie riserve fino a quando si esauriscono e muore. La soluzione è scegliere una pianta che per genotipo (specie) o per fenotipo (acclimatizzata) ha un punto di compensazione basso (ovvero sopporta bene l’ombra) oppure destinare la pianta a un posto più luminoso. AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non releghiamo le piante nei parchi ma portiamole dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. Un mese fa ho sfilato i fusti lunghi oltre tre metri di una Monstera della nobile età di circa 15 anni, li ho lavati sotto l’acqua tiepida della doccetta e, invece di attorcigliarli nuovamente attorno al tutore li ho stesi e appesi ad un filo al soffitto a contorno di una porta finestra. Ebbene all’inizio ha gettato molte foglie, ingiallivano e afflosciavano nell’arco di qualche giorno. Interpreto questa reazione come un processo di adattamento al nuovo ambiente che gli ho imposto con la distensione dei fusti: le foglie, cresciute con i cloroplasti ottimizzati per una specifica luminosità, cadono per permettere la formazione di nuove foglie con cloroplasti adatti adatte alla nuova luminosità e al nuovo angolo di incidenza della luce. Il problema estetico però è che le nuove foglie crescono all’apice del fusto mentre quelle che cadono sono tipicamente le foglie alla base perché più vecchie. La pianta rinuncia prima alle foglie più vecchie e meno funzionanti per la fotosintesi. Questo fa sembrare la pianta sempre più spoglia alla base. Fortuna che c’è un intenso intreccio di radici aeree che riempie e crea comunque una trama attraente. Inoltre ho visto ci sono anche nuovi getti dalla base, ancora deboli, ma che potrebbero in futuro con una nuova luminosità sviluppare nuovi fusti dalla base e riempire. Per il momento, in attesa dei nuovi fusti, ho appeso un cestello di Aeschynanthus ‘Twister’ lungo l’asse della Monstera in modo da aggiungere un effetto di riempimento di verde pensile lungo i fusti un poco spogli. Adesso devo attendere qualche settimana per vedere la reazione al termine del periodo di acclimatizzazione. AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non releghiamo le piante nei parchi ma portiamole dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. Mentre per noi umani coabitare con le piante è una evenienza gradita, se volessimo ascoltare l'opinione delle piante non credo loro direbbero lo stesso. Gli ambienti interni offrono condizioni di sopravvivenza delle piante molto difficili: poca luce, aria secca e assenza di stagioni. Purtroppo per noi amanti delle piante di interni, queste si sono evolute in ambienti naturali con condizioni di vita molto diverse da quelle dei nostri spazi interni. In questi nostri spazi artificiali le condizioni ottimali sono purtroppo quasi mai presenti contemporaneamente: le piante subtropicali di sottobosco che amano ambienti ombrosi, caratteristica tipica degli ambienti interni, prediligono però alta umidità dell'aria, che è una rarità nei palazzi, mentre le piante delle steppe e dei deserti abituate ad ambienti aridi, caratteristica tipica gli ambienti interni, amano però molta luce, che spesso non è disponibile negli interni. Dunque per avere piante rigogliose in casa, ufficio o negozio è necessario trovare una soluzione a queste situazioni contrastanti che concili le abitudini delle piante con le caratteristiche del microclima interno sia al momento dell'impianto, sia, nei limiti del necessario, applicando tecniche di illuminazione, irrigazione e vaporizzazione. E’ una grande sfida alla conoscenza, alla tecnica, all’estetica e alla sensibilità botanica! Le piante sono esseri viventi e non soprammobili! AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non releghiamo le piante nei parchi ma portiamole dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. |
Taccuino di
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