Negli ultimi anni ho provato diverse tipologie di vasi e contenitori in cui piantare e coltivare piante da interno. Questo post ha lo scopo di discutere vantaggi e svantaggi dal punto di vista botanico riguardanti alcune tipologie speciali di contenitori. Innanzitutto è imporante ricordare che la salute della pianta dipende dalla salute delle radici, come trovate ribadito in diversi post precedenti e come ho ampiamente illustrato nei diversi miei corsi online. Non solo la salute, ma anche le dimensioni e la bellezza della chioma fogliare sono in continuo equilibrio con le dimensioni e l'efficienza della chioma fogliare secondo un rapporto dettato dal genoma della pianta. Ne consegue che anche il contenitore, non solo il terriccio, è importante per lo sviluppo di una pianta. Ecco le caratteristiche principali di un buon vaso: 1) deve mantenere l'umidità nel terricio senza creare ristagni agevolando un perfetto drenaggio dell'acqua di innaffiamento; 2) deve stimolare una buona ramificazione delle radici nella zolla evitando la spiralizzazione, ovvero la crescita delle radici attorno al perimetro interno tra contenitore e terriccio. 3) deve permettere una buona aerazione del terriccio per garantire l'ossigenazione necessaria alla respirazione delle cellule radicali; 4) possibilmente presentare un contrappeso, insieme alla zolla, per garantire la stabilità della pianta. Parleremo qui della mia esperienza con due vasi speciali brevettati: Air Pot e Lechuza.
AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non relegare le piante nei parchi ma portarle dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo.
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Ho fatto un esperimento per verificare l'accumulo di salinità nel terreno delle nostre piante di casa. La mia ipotesi è che le piante di casa innaffiate con acqua di rubinetto trattata con addolcitore di condominio accumulano sodio fino a dosi tossiche. Gli addolcitori scambiano gli ioni calcio e magnesio presenti nell'acqua con lo ione sodio per rendere l'acqua di rubinetto meno incrostante le tubature e gli elettrodomestici. Peccato che per le piante lo ione Ca++ e Mg++ sono nutrienti mentre lo ione Na+ è dannoso. Un accumulo di sodio (sale da cucina) nel terreno dunque è una condizione molto grave e tossica per le piante che può portare alla loro morte per danno osmotico alle radici, la cui sensibilità comunque dipende dalla tolleranza al sodio della specie botanica. Non potendo misurare direttamente la concentrazione di sodio nel terreno ho misurato la salinità in alcuni terreni di piante di casa secondo le modalità ufficiali con un prelievo rappresentativo di campione di terreno del vaso estratto in 2,5 volte il volume di acqua distillata. Dopo riposo di 30 minuti ho misurato il dato della salinità con il misuratore HM Digital TDS-3. Sul terreno di un Zamioculcas zamiifolia che non ho rinvasato da oltre 10 anni ho trovato una salinità di 2500 ppm o mg/l = 2,5 g/l (CE circa 5 mS/cm) con un pH 5,5. Si tratta di un valore elevato. Il terreno nei vasi è dunque molto salino, al limite superiore. Quali sono i sali presenti? Dato che il Ca e il Mg sono facilmente assorbiti (la piante è stata fertilizzata molto poco) mentre il Na no, è plausibile che nei molti anni si sia accumulato questo ultimo. Indizi sono lo scarso accrescimento della pianta e l'aspetto del terreno nel vaso che risulta destrutturato e compattato come se avesse perso la sua fertilità. Curiosamente però i terreni molto salati tendono ad avere un pH elevato, mentre nei vasi ho riscontrato un pH debolmente acido. Stabilito l'eccesso di salinità nel terreno del vaso ho deciso di procedere ad abbassare la salinità. La salinità è un brutto guaio di difficile gestione. Circa il 20% dei terreni arabili nel mondo sono danneggiati da eccesso di sale riconducibile spesso ad una errata irrigazione. La procedura standard è il dilavamento del terreno con moltissima acqua in modo da allontanare lo ione sodio che è molto idrosolubile. La procedura è agevolata con l'aggiunta di gesso (solfato di calcio CaSO4) che apporta ioni calcio in sostituzione dello sodio nel terreno. Ho messo in opera un procedimento di dilavamento: Per lo Zamioculcas zamiifolia di cui sopra prima di iniziare ho innanzitutto misurato la concentrazione di N, P e K con un test qualitativo (Quick Soil Test Hanna Instruments). Prima di iniziare, il test segnava N alto, P alto, K alto. Dopo ben 27 litri di acqua di dilavamento percolata attraverso il terreno del vaso da 26 cm di diametro, la salinità dell'acqua di percolamento finalmente è scesa a 800 ppm. Usando per la percolazione l'acqua di rubinetto con TDS 334 ppm, signfica una salinità residua di soli 466 ppm. Ho rifatto il test qualitativo della fertilità e ho trovato N medio-basso, P medio-alto, e K basso con pH 6. Il dilavamento "leaching" ha allontanato principalmente il K mentre il P che è meno lisciviabile e l'N probabilmente amminico è rimasto più presente. Insieme al K è presumibile che anche il sodio sia stato fortemente dilavato. Il pH è aumentato. Ho poi sperimentato un dilavamento a batch con misurazioni progressive in modo da costruire una curva di dilavamento e ho trovato altri dati interessanti: Epipremnum aureum in vaso da 15 cm (grafico in fondo a sinistra): Dopo avere bagnato bene il vaso ho raccolto il percolato nel momento in cui usciva dai fori sotto il vaso: il percolato in batch di mezzo litro alla volta in successione e stato sottoposto a misurazione della concentrazione TDS in ppm (mg/l): ecco i dati partendo dal primo mezzo litro: 1050 ppm, 926 ppm, 794 ppm, 700 ppm, 642 ppm, e infine 590 ppm al 6° mezzo litro. Considerato che l'acqua di rubinetto utilizzata contenteva di base una salintà di 334 ppm dopo 6 mezzi litri ho dilavato 1,3 g di sali contenuti nel terreno. Hoya carnosa in vaso da 15 cm (grafico in fondo a destra): il primo mezzo litro di precolato ha una salinità di 4000 ppm. Al secondo ho aggiunto due cucchiai di gesso CaSO4 sul terreno prima di versare i successivi mezzi litri e la salinità del percolato è stata la seguente 3330 ppm, 2800 ppm, 2000 ppm, 1320 ppm, 1000 ppm, e il sesto 755 ppm. Qui ho dilavato 6 g di sali. Cosa significa tutto questo? Dai miei calcoli approssimativi l'acqua di rubinetto che uso per innaffiare contiene circa 120 ppm (mg/l) di ione sodio, di cui 20 già presenti nell'acquedotto e circa 100 aggiunti dall'addolcitore. Bagnare molti anni con questa acqua può portare ad un accumulo di sali tali da danneggiare la pianta. Come fare per evitare l'accumulo di sali nel terrento dei vasi? - usare acqua prelevata prima dell'addolcitore o miscelare metà acqua addolcita con metà acqua demineralizzata per ridurre la concentrazione di sodio; - fare percolare l'acqua fuori dai fori di scolo sotto il vaso ogni volta che si bagna e allontanare l'acqua che fuoriesce; - ogni tanto porre il vaso sotto la pioggia per dilavare il terreno con acqua piovana demineralizzata; - rinnovare il terreno alla pianta ogni uno o due anni con terreno fresco. AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non relegare le piante nei parchi ma portarle dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo.
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AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non releghiamo le piante nei parchi ma portiamole dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. Molte piante di sottobosco si sono evolute in un ambiente a bassa illuminazione e pertanto sono più idonee ad essere coltivate in ambienti interni. Tutto dipende dalla disposizione dei tilacoidi dei cloroplasti e dalla concentrazione di clorofilla in due complessi proteici chiamati fotosistema I e fotosistema II. La clorofilla è presente nelle foglie in alcune varianti che manifestano un diverso assorbimento della radiazione luminosa. Due sono i picchi di assorbimento tipici delle clorofille: il blu tra i 400 e i 470 nm e il rosso tra il 650 e 730 nm. Dunque in mezzo, il verde e giallo, sono lunghezze d’onda che la clorofilla non assorbe e che riflesse nella massa verde penetrano tra le foglie e danno il colore verde agli organi fotosintetizzatori delle piante. I fotosistemi sono però costituiti da molte molecole fotosensibili complesse e alcune rispondono anche alle lunghezze d’onda del verde e giallo, anche se in misura minore. Le piante in casa ricevono molta meno luce rispetto all’aperto. Se la luce è comunque sufficiente ad avere un metabolismo positivo (superiore al punto di compensazione - vedi post sul tema) senza fenomeni di eziolamento (quando i tessuti diventano gialli e la pianta si allunga per ricercare la luce) crescerà e sopravviverà. Se invece la luce non è sufficiente, la pianta soffrirà e sarà destinata alla lenta estinzione in quanto il processo di respirazione avrà il sopravvento sul processo di fotosintesi e la pianta si consumerà da sola fino a morire. In questo caso è necessario aumentare la luminosità alla pianta per tenerla in vita. La luce però deve essere fornita con cautela e in modo progressivo per non accecare e bruciare i fotosistemi. Esistono lampade che forniscono in prevalenza le lunghezze d’onda che servono alle pianta (si chiamano lampade PAR - Photosynthesis Active Radiation). Sono particolarmente adatte le versioni a LED che non scaldano e consumano poco. Sembrano deboli all’occhio umano perché non emettono il colore verde e giallo, ma per la pianta sono perfette. L’inconveniente è che all’occhio umano la luce appare di un viola inquietante. Per ovviare a questo problema visivo è utile trovare le giuste combinazioni tra lampade con spettro PAR e lampade con spettro solare gradevole all’occhio umano in modo da garantire il migliore compromesso tra necessità delle piante e comfort dell’uomo. AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non releghiamo le piante nei parchi ma portiamole dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. |
Taccuino di
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