Nel 1999 alcuni educatori di botanica negli Stati Uniti definirono con "plant blindness" il fenomeno per il quale i bambini e gli studenti danno più attenzione ed importanza agli organismi animali rispetto a quelli vegetali. Le piante sono viste solo come un contorno agli animali, in particolare agli animali del phylum cordati, cioè quelli con spina dorsale. Gli umani si sentono più vicini ed empatici alle forme di vita loro più vicine, tanto che le specie più meritevoli di protezione nei media sono proprio quelle con caratteristiche più simili agli esseri umani (delfino, orsetto, gatto, cane, ... e guarda caso tutti mammiferi). Un'altra prova del fatto che le piante sono ritenute secondarie nel mondo si evince anche dal fatto che pochi disinguono i nomi di specie vegetali comuni (es. cedro vs. pino) mentre tutti distinguono il cane dal gatto.
In contrapposizione a questa percezione, le piante rappresentano circa il 90% della massa degli esseri viventi sulla Terra. Tutti gli animali selvatici, domestici, allevati e anche l'uomo, costituiscono insieme solo lo 0,3% della massa vivente. Ecco qui la visione distorta e antropocentrica del pensiero comune. Le piante sono fondamentali nella creazione e nel mantenimento delle condizioni di vita sulla Terra e la ricerca scientifica scopre sempre più evidenze come le piante abbiamo una loro forma di comunicazione, sensitività e percezione dell'ambiente (vedi ad esempio Darwin, Mancuso, Castiello). Le piante sono esseri di grande successo evoluzionistico. L'uomo dipende totalmente dalle piante, sia per l'ossigeno sia per l'alimentazione. Tutto il nostro cibo deriva dalle piante, sia tramite il mangime per gli animali, sia direttamente come cereali, frutta e verdura. Nonostante questa nostra completa dipendenza dalle piante, il nostro cervello non le considera. Per due ragioni: 1) le piante sono una forma di vita diversa dalla nostra e il nostro cervello non comprende ciò che gli è estraneo; 2) Le piante non sono mai state un pericolo immediato per l'uomo in quanto non fanno imboscate e non attaccano. Pertanto il nostro occhio le percepisce come un'unica massa di contorno e si concentra sugli animali o altri umani presenti che possono invece rappresentare un'allerta immediata. Voglio aggiungere anche un'altra considerazione: quanto ridicola sia la moda vegetariana e vegana per la quale non si mangiano animali solo perché sono simili a noi mentre le piante, in realtà molto più sofisticate e evolute, sono invece consumate senza pietà per il solo fatto che sono una forma di vita non compresa. Per ulteriori informazioni googleare o vedere qui.
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Le piante sono una forma di vita diversa che noi animali fatichiamo a capire, anche se siamo totalmente dipendenti da loro. Le piante sono sessili (gli animali si muovono), non hanno organi (gli animali hanno organi), funzionano a rete (gli animali a gerarchia), sono lente (gli animali rapidi), sono autotrofe con la fotosintesi (gli animali mangiano altri esseri viventi). Nonostante siano così diverse, le piante hanno una loro intelligenza sofisticata anche se diversa da quella di noi animali. Questa diversità del modello vegetale rende difficile per noi accettare che le piante sentano suoni, vedano, comunichino e annusino. Non lo fanno con organi specifici come noi animali, ma ci sono ormai prove certe che le piante percepiscono perfettamente l'ambiente circostante e reagiscono ad esso. Capito e accettato questo è importante mettersi nei panni delle piante e provare a "pensare" come loro. Questo è quello che faccio con gli allievi dei miei corsi di botanica di interni: Capire come pensano le piante. A tal fine vi consiglio di sentire su youtube le diverse presentazioni del Prof. Stefano Mancuso, Università di Firenze.
AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non relegare le piante nei parchi ma portarle dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo.
Portare a nuova vita piante destinate ad essere estinte non è la stessa cosa che portare a nuova vita animali? Perché temiamo gli animali (Jurassic Park) mentre le piante no? Si tratta della nostra “plant blindness”? AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non relegare le piante nei parchi ma portarle dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. @ Interni botanici
AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non relegare le piante nei parchi ma portarle dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. @ Interni botanici Si sente tanto parlare di gelsomino e dei suoi fiori profumati ma lo si vede raramente. In effetti quello che spesso viene identificato con gelsomino in effetti è il "falso gelsomino" ovvero il Trachelospermum jasminoides Lem. che prima si chiamava Rhincospermum. Il Trachelospermum è una bella pianta rampicante con foglie coriacee sempreverdi e fiori bianchi molto profumati. E' originario della Cina e del Himalaya ed è stato portato in Europa dal botanico avventuriero Robert Fortune nel 1844- E' abbastanza rustico, tanto da sopravvivere agli inverni della pianura Padana. Pianta bella e onorevole, ma non è il gelsomino. Di gelsomini (Jasminum) ce ne sono tanti, tutti coltivati in Cina e in Asia dall'antichità e introdotti in Europa nei secoli a iniziare dal 1400 attraverso i Mori e Costantinopoli fino al 1800 dagli inglesi. Appartengono alla Famiglia botanica delle Oleaceae, in cui troviamo anche l'Olea europea (olivo), Osmanthus (arbusti ornamentali di grande pregio dai fiori profumatissimi), Forsythia (tra i primi arbusti a fiorire giallo a fine inverno), Ligustrum (popolare alberello da viali), Syringa (il lillà), Phillyrea (costituente chiave della macchia mediterranea) e Fraxinus (alberi frequenti nei nostri boschi temperati e montani). Il gelsomino più comune è il Jasminum officinale L. proveniente dalla Cina ma originario della Persia, Caucaso o India settentrionale E' una pianta rampicante a foglie semi-persistenti a crescita vigorosa a ridosso di una parete o per formare pergolati. La fioritura è bianca e profumatissima. Esige climi temperati. In Pianura Padana in zone protette riesce a superare l'inverno altrimenti richiede climi più miti. Il Jasminum nudiflorum Lindl. invece fiorisce a giallo e non ha profumo, ma il suo punto forte è che è molto rustico e inizia a fiorire già dopo Natale per tutto il resto dell'inverno. Ho visto fiorire un J. nudiflorum in montagna a 1200 m a Ortisei a febbraio!. Il Jasminum sambac Att. è il gelsomino nazionale delle Filippine con il nome sampaguita anche se è originario del Buthan e Bangladesh. Vegeta all'aperto solo in ambienti molto caldi del sud Italia e Sicilia. Tuttavia, già Cosimo de' Medici lo coltivava con grande gelosia a Firenze in vaso. Io ne coltivo un esemplare in vaso che pongo d'estate sul terrazzo e d'inverno in soggiorno nel punto più luminoso. Cimato bene fiorisce sui rami dell'anno con un profumo incredibile in estate. I suoi fiori sono usati per profumare il thé cinese Jasmine tea. e sono sacri per gli Hindu. Esistono poi altre specie tutte interessanti: J. grandiflorum (gelsomino di Spagna o Catalogno), J. azoricum (frequente in Riviera) , J. polyanthum (particolarmente idoneo ad essere coltivato in vaso in ambienti interni) , J. mesnyi e molti altri ancora. Tutti i gelsomini vogliono terra ricca con humus. Preferiscono il caso al freddo e il piede non arido. Vanno potati energicamente ad inizio inverno perché fioriscono sui rami dell'anno. I gelsomini tropicali nel nord Italia vanno coltivati in vaso all'interno e esposti solo in estate. Fonti: Pizzetti Ippolito ( a cura di) - Fiori di Giardino, Garzanti 2011 Beckett K.A. - The R.H.S. Encyclopedia of House Plants, Simon&Schuster, 1995 AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non relegare le piante nei parchi ma portarle dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. Se mettessimo tutte le forme di vita sulla Terra su una bilancia, dai microrganismi agli alberi e fino alle balene, includendo ovviamente anche tutti gli uomini attualmente viventi, scopriremmo che di tutto quel peso di materia vivente solo lo 0,3% è rappresentato da forme di vita animale, tra cui gli insetti peserebbero lo 0,12% del totale, tutti i pesci di tutti gli oceani pure lo 0,12%, tutti gli animali selvaggi al mondo lo 0,05% e tutti i 5,5 miliardi di uomini in Terra lo 0,01% uguale a quanto peserebbe tutto il krill negli oceani! E il resto 99,7%? Il resto sono tutti vegetali: 81% piante fotosintetizzanti e 18% sarebbe il peso di batteri, funghi, virus e altre forme. Per analogia se tutte le forme di vita sulla Terra pesassero come un sacchetto da un kg di zucchero, tutti gli animali sarebbero come il peso di due cucchiai. e tutta l'umanità solo 10 g. Il resto sarebbe tutto massa vegetale. Il nostro mondo allora è governato dalle piante che hanno plasmato l'atmosfera e che mantengono in funzione gli equilibri nei vari circoli biogeologici degli elementi. Una vera "economia circolare" sostenuta da miliardi di anni in cui l'azoto, il carbonio, l'idrogeno e l'ossigeno sono costantemente tenuti sequestrati all'interno della materia organica o in equilibrio con l'ambiente circostante sia minerale, sia acquoso, sia gassoso. Le piante con la loro enorme massa fotosintetica sono il motore di tutta la vita sulla Terra e a loro dobbiamo tutta la nostra esistenza. Le piante, grazie ai combustibili fossili, carburano le nostre economie, ci alimentano con il cibo e foraggiano gli animali da latte e carne. In altre parole sostengono il nostro benessere. Però noi non le consideriamo, non le conosciamo bene, le snobbiamo perché lavorano gratis e dunque non hanno un valore nel sistema economico attuale. Allora invito tutti a imparare ad osservare le piante, a interessarsi alle piante, a considerarle, a convivere con le piante perché sono una forma di vita complementare a quella nostra animale. Suggerimento: lasciati stupire dai libri di saggistica biologica di Stefano Mancuso (es. Verde brillante, ed. Giunti o La Nazione delle Piante, ed. LaTerza) o di filosofia biologica di Emanuele Coccia (La vita delle piante, ed. il Mulino) o dai manuali di giardinaggio culturale di Ippolito Pizzetti. Vai a visitare la mostra "Breaking Nature" e "La Nazione delle Piante" aperte fino a settembre 2019 alla Triennale di Milano, dove sono state scattate le foto di questo post. AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non relegare le piante nei parchi ma portarle dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo.
Due parole anche su Sedona, AZ, una cittadina immersa in un paesaggio montagnoso di rocce rosse spettacolare che si raggiunge proveniendo da Flagstaff (sulla Highway 66 oggi Interstate 40) in discesa (!) in quanto le rocce sono scavate dall'acqua nell'altipiano del Colorado (stile Grand Canyon). Per la bellezza del paesaggio Sedona ha richiamato Max Ernst negli anni '50 e poi ha ospitato la sceneggiatura di molti film western. Sedona è anche un centro New Age dove esistono alcuni "vortex" di energia positiva. Siamo stati a cercarli, ma non abbiamo percepito niente (sigh!). Allego alcune foto per curiosità. AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non relegare le piante nei parchi ma portarle dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo.
Qualche accorgimento: - anche se originaria delle foreste equatoriali pluviali il terreno va lasciato asciugare tra due innaffiature. Non bagnare troppo. - il tralcio continua a crescere in lunghezza e stenta fare diramazioni, pertanto o va allestita come rampicante o ricadente anche per composizioni di fantasia (vedi foto in fondo) o va fatta attorcigliare attorno ad un tutore (nei garden). Altro sistema è di piantare più tralci per rinfoltire alla base (nei cestelli). - vegeta anche con pochissima luce, però non crescerà molto. Se vuoi che cresca scegli una posizione un po' più luminosa, ma mai al sole diretto. - si moltiplica con una certa facilità per talea. Però necessita di un po' di tempo per acclimatarsi e partire a crescere. In casa ho due cultivar: 'Marble Queen' variegata e 'Neon' di un verde lime chiaro (vedi foto) AutoreRibaltiamo il nostro rapporto con le piante e il verde. Non relegare le piante nei parchi ma portarle dentro per coabitare gli stessi nostri spazi dove trascorriamo abitualmente il 90% del nostro tempo. Indipendentemente da Erich Fromm, che coniò il termine Biophilie nel 1964 in contesto psicoanalitico, nel 1984 Edward O. Wilson introdusse con il suo libro Biophilia, the Human Bond with other Species il termine biofilia nella scienza biologica definendolo come la tendenza innata degli umani di connettersi alla natura e agli altri organismi viventi. Dato che tutti gli organismi derivano dalla stessa origine biologica condividendo gli stessi meccanismi biochimici e metabolici, Wilson sostiene che nel corso dei 3,5 miliardi di anni di evoluzione la selezione naturale abbia favorito quei geni che hanno permesso una maggiore sintonia con l’ambiente naturale circostante. Allora è gioco forza che il nostro cervello, la nostra mente e tutto il nostro corpo si siano adeguati a percepire e ad interpretare il mondo circostante con una chiave di lettura propria della nostra ancestrale esperienza biologica e naturale. Un esempio per tutti: l’occhio umano ha una percezione particolare dei colori rispetto ad altri animali. E’ più sensibile al colore verde (555 nm) e al rosso che, guarda caso, servono a distinguere le varietà di piante e di frutti che per migliaia di anni nella savanna erano la fonte principale di cibo. Wilson (1993) dunque sostiene che gli umani, e forse anche altri animali sensienti, si siano evoluti in un percorso di coevoluzione genetica-culturale, che lui chiama bioculturale, dove l’ambiente naturale ha svolto un ruolo centrale nella storia dell’uomo al pari del comportamento sociale e della sua dotazione genetica. Sarebbe veramente incredibile se tutto questo percorso coevolutivo lungo milioni di anni non avesse influito nel selezionare i geni più adattati alla sopravvivenza da trasmettere alle generazioni successive. Secondo Wilson esiste una evidenza schiacciante - in negativo - di questo innato legame: la biofobia. Gli umani hanno, ad esempio, un’innata repulsione ai ragni e ai serpenti, ma meno o affatto alle pistole, oggetti parimenti pericolosi ma di recente comparsa nella storia dell’uomo. Non solo gli umani, ma anche i lemuri del Madagascar, dove non vivono serpenti, dimostrano una innata paura nei confronti di questi rettili. Un altro esempio di biofobia è il sospetto di fondo che ci assale quando mangiamo funghi selvatici, segno rivelatore di una certa paura ancestrale di avvelenamento. Tantissimi invece sono gli esempi di biofilia positiva. La specie Homo ha vissuto per il 99% della sua esistenza nella savanna provvedendo al cibo con la raccolta di piante e frutti e la caccia occasionale. Dunque osserviamo nell’uomo una predilizione per paesaggi aperti con prati, posizioni collinari, appartamenti ai piani alti, terrazzi e viste panoramiche di alberi e orizzonti. Sono tutte situazioni in cui l’avvistamento precoce di predatori è facilitato. In aggiunta, la presenza di specchi d’acqua quali lungolaghi e stagni ha effetto tranquillizzante nell’umano perché è elemento che favorisce la crescita delle piante di cui l’uomo si alimentava. Lo sviluppo tecnologico ha allontanato l’uomo negli ultimi centocinquanta anni dalla vicinanza con la natura ma ciò non ha affatto cambiato la sua innata tendenza a connettersi con la natura che è radicata nei suoi geni e nella sua forma mentis da milioni di anni. Dunque osserviamo come pazienti che hanno una finestra in camera che dà su alberi guariscano più in fretta, come passeggiate nel bosco riducano la ipertensione sanguigna, come coltivare l’arte del giardinaggio allunghi la vita, come tenere piante in casa migliori il benessere. Vivere in compagnia di piante dunque migliora l’umore e la salute degli occupanti sia per la qualità dell’aria ma anche per la innata nostra biofilia maturata nel corso dei milioni di anni. Riferimenti:
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Taccuino di
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